Sento dire spesso da colleghi più navigati di me: "Io lego il somaro dove vuole il padrone". Frase autoassolutoria che indica la totale sottomissione dell'ingegnere o architetto al committente e alle sue disposizioni in merito al progetto di turno. A me questa cosa suona male ma non so ribattere. Allora vado in aiuto dei codici deontologici della professione e leggo questo:
Per poter svolgere al meglio il suo compito, l’Architetto ha il dovere di conservare la propria autonomia di giudizio e di difenderla da condizionamenti esterni di qualunque natura. Con la sua firma, dichiara e rivendica la responsabilità, intellettuale e tecnica, della prestazione espressa
Poi mi arriva per email un vademecum sulla recente riforma delle professioni che ribadisce:
La legge afferma che "l'accesso alla professione di Architetto è libero e il suo esercizio è fondato e formato sull'autonomia e sull'indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnica, del professionista”
Allora mi rimbalzano nei pensieri il somaro, il padrone, l'autonomia, l'indipendenza e come è difficile conciliare tutte queste cose. Forse il padrone a cui rendere conto non è solo il Committente ma qualcosa di più complesso come il paesaggio, il patrimonio storico, l'interesse pubblico, la Costituzione, la società.