Durante questi mesi di isolamento forzoso, abbiamo imparato a conoscere meglio le nostre abitazioni. Belle, brutte, grandi, piccole, buie, luminose… Ma, mai come in questi giorni abbiamo saputo apprezzare le appendici esterne delle nostre unità abitative: logge, balconi e terrazzi.
Nel mondo ante-COVID, questi spazi ibridi erano percepiti dai più, come inutili protrusioni aeree dell’abitazione, spesso ridotte a miserevoli parcheggi di bidoni della differenziata, vasellame di vegetazione morente, scope e scopettoni.
Nel mondo ante-COVID, tanto nella progettazione di un edificio, quanto nella compravendita di unità abitative, balconi, logge e porticati sono stati oggetto del bieco mercanteggiare tra committente e architetto, tra agenzia e cliente: “ si ma poi a fine lavori il balcone lo chiudiamo e ci facciamo una bella veranda!” L’atto del “verandare” , di chiudere, di otturare, di annettere all’abitazione nell’illusorio tentativo di ampliarla, è stato la pratica popolo italico negli ultimi settant’anni.
L’avvento del COVID ha sancito il loro riscatto. Logge, balconi e terrazzi sono stati per sessanta giorni i nostri secondi polmoni, mantici d’aria pulita che profumava di libertà. Sono stati lo spazio di confine tra l’umanità infetta e reclusa e la natura florida e fiorente. Sono stati palcoscenici di improvvisati attacchi d’arte. E per questo sono stati oggetto di riordino, pulizia e amorevoli cure. Il nostro isolamento è stato il loro riscatto, il loro momento supremo o, come dicevano gli antichi Greci, il loro Kairos.
Ora la reclusione domestica è finita, è tempo di uscire di casa, di scendere in strada, di andare al parco… “Aspetta! Visto che stai uscendo porta giù la spazzatura… ma dove hai messo i bidoni?!…. Ah sì scusa, li ho appoggiati un attimo in terrazzo…”